Descrizione
Sono piante erbacee palustri con cauli e foglie rigide, lunghe e cilindriche o prismatiche, appartenenti specialmente ai generi Juncus, Scirpus, Schoenus, ecc. Il genere Juncus (nome usato dai romani per tali piante) appartiene alla famiglia Giuncacee (v.); comprende circa 200 specie dislocate nelle regioni temperate e fredde di tutto il mondo; in Italia vivono 32 specie.
È presente in Toscana, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Cresce in pantani salmastri lungo i litorali, ma anche più all’interno sino a 600/700 m. d’altezza sopra il livello del mare.
Storia
I giunchi hanno storicamente ricevuto poca attenzione dai botanici; nella sua monografia del 1819, per esempio, James Ebenezer Bicheno descrisse il genere come "oscuro e poco invitante". Il genere Juncus fu inizialmente nominato secondo le regole del Codice internazionale di nomenclatura per alghe, funghi e piante di Linneo nel suo Species Plantarum del 1753 . La specie tipo del genere fu designata da Frederick Vernon Coville nel 1913. Il nome generico, dal latino ‘iùngere’ (congiungere, legare), allude all’antico uso di intrecciare fusti e foglie dei giunchi per creare diversi oggetti; il nome specifico deriva dal termine latino ‘subula’, che significa ‘lesina’, un attrezzo appuntito del calzolaio, e significa quindi ‘lesiniforme’.
Miti, leggende e simboli
Aura (o Aula), figlia di Peribea e del titano Lelanto, è una ninfa della mitologia greca. La sua vicenda è narrata nel XLVIII libro del poema "Le Dionisiache" di Nonno di Panopoli (poeta greco della metà del V secolo a.C.). Secondo il mito viveva nei boschi dedicandosi unicamente al combattimento con cinghiali e leoni, restia e avversa alle tentazioni amorose. Orgogliosa della sua verginità, arrivò a trasformare un giovane in un cervo solo perché questi aveva osato guardarla. Su di lei si abbatté, tramite Nemesi, la collera di Artemide. Nemesi fece in modo che l'attenzione di Dioniso si posasse sulla ninfa. Per possederla il dio fu costretto a trasformare in vino l'acqua della fonte nella quale Aura beveva. Dopo aver bevuto Aura si stese all'ombra di un albero addormentandosi. Dioniso allora si avvicinò, allontanò la faretra e l'arco e, dopo averle legato mani e piedi, abusò di lei. In seguito, si allontanò da lei dopo averle sciolto gli arti e rimesso la faretra al suo posto. Aura si risvegliò, vide le sue nudità e, grazie a un sogno avuto in precedenza nel quale vedeva Eros offrire una leonessa a Afrodite e Adone, mentre lei stava in mezzo ai due, capì. Si sentì allora invadere da una furia tremenda, scese a valle travolgendo e uccidendo chiunque le si ponesse davanti, fino a quando il suo passo si fece più pesante sotto il peso della gravidanza. Allora le apparve Artemide sorridente, ironica, a rivelarle il nome del padre. Nacquero due gemelli, verso i quali la ninfa avvertiva un forte odio. Li offrì ai venti del cielo affinché li portassero via; provò a farli mangiare da una leonessa mettendoli in una tana. Ma in questa entrò una pantera che li accudì allattandoli, mentre due serpenti proteggevano l'entrata. Allora ne prese uno in braccio, lo lanciò in aria e, una volta ricaduto a terra, si gettò su di lui per sbranarlo. Artemide, atterrita da tanta violenza, si precipitò a salvare l'altro gemello, Iacco, e lo portò via consegnandolo a Dioniso. Infine Aura, ancora in preda a una furia cieca, tentò di suicidarsi gettandosi nelle acque del Sangario. Zeus la trasformò: ora dai suoi seni sgorgava acqua, il suo corpo era un torrente, i suoi capelli erano fiori, le frecce sibilanti canne sonore, la corda dell’arco un giunco.
Secondo un altro mito greco, Prometeo, una volta rubato il fuoco dell’Olimpo, lo riportò sulla terra nascosto in un giunco.
Iconografia
Dal punto di vista iconografico, il giunco appare sin dall’età greca e poi in epoca romana, come una delle fibre vegetali più usate per la realizzazione di ceste e contenitori spesso legate a pratiche religiose. Cesta deriva dal latino Cista che indica un qualsiasi recipiente di fibra vegetale intrecciata, adatto a vari usi. In Grecia la Kista Mistika era un importante contenitore di oggetti sacri la cui vista era proibita ai profani. Così come a Roma La Cista Mistica era destinata al culto di Bacco e di Cerere.