Vi racconto Piazza Armerina

Quello che vi stiamo per raccontare non sono altro che i ricordi di due adolescenti che vivevano la loro infanzia nella semplicità dei gesti e di condivisione urbana. 

Ci troviamo negli anni ’60, anni del boom economico. Gli anni di un radicale cambiamento in tutti i settori. Sono stati anni mitici: tutto era splendido, la vita stessa era bella da vivere in quegli anni. La spensieratezza dominava. L'Italia cominciava a entrare nel pieno della crescita economica. Sono sempre di più gli italiani che scendono nelle piazze per manifestare i loro ideali politici ed esprimere il proprio dissenso. 

Ora in questo viaggio negli splendidi anni ‘60, immaginate una bella ragazza che indossa una bella gonna ampia o qualche coraggiosa una minigonna, che con le amiche si dirige verso la sala da ballo più vicina. Molti ragazzi passavano così la loro giovinezza.

Poi c’erano Giuseppe e Antonino, che sin da piccoli dovettero aiutare le famiglie. 

Noi scout del Piazza Armerina 1 siamo andati in giro e abbiamo incontrato questi due uomini che con molta gentilezza hanno risposto alle nostre domande. 

Con molta curiosità gli abbiamo domandato cosa fosse cambiato nel nostro piccolo paesino e ci hanno risposto che prima Piazza Armerina era una città, aveva molti uffici che ora si trovano in provincia - come ad esempio la vice Prefettura - erano presenti alcuni indirizzi di Università, gli abitanti erano di più. Poi con un'aria dispiaciuta ci hanno che per colpa dell'immigrazione gli abitanti sono diminuiti e così molti uffici sono stati trasferiti a Enna, la ferrovia è stata chiusa e mai più riaperta.

Gli abbiamo quindi chiesto di raccontarci una storia della loro infanzia e così il Signor Giuseppe ci ha raccontato di quando da piccolo, per aiutare la famiglia, andava a raccogliere le noccioline. Piazza Armerina era un territorio ricchissimo. Si scendeva in Piazza Garibaldi con un cesto e da lì si partiva verso le campagne. Quando gli abbiamo domandato quale mezzo utilizzasse per fare questo lavoro, lui con aria scherzosa ci ha risposto: “con la pedovia”. Si rimaneva lì in campagna tutta la settimana, si dormiva sulla paglia nei casolari di pietra, si lavorava dalla mattina alla sera. Il sabato sera si tornava a casa e il lunedì si ripeteva tutto da capo. Al termine della raccolta, il padrone vendeva il raccolto, così come faceva con le mandorle e olive. 

Siamo rimaste colpite dall’impegno, dalla dedizione e sacrificio di questi uomini - un tempo ragazzi come noi - perché, nonostante fosse un lavoro faticoso e duro, non si sono mai tirati indietro, al fine di contribuire non solo al proprio sostentamento, ma anche a quello della loro famiglia.

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