Noto

Noto

Title: La Signora Anna

La Signora Anna

Abbiamo incontrato la Signora Anna in un pomeriggio di ottobre, dandoci appuntamento sulla scalinata della Cattedrale.

All’inizio eravamo un po' imbarazzati ma, dopo aver chiesto qualche notizia su Noto, la Signora Anna, come un fiume in piena, ci ha raccontato tante storie legate alla ricostruzione della città dopo il terremoto del 1693. In modo particolare, ci ha descritto come è stata progettata Noto e come la piazza in cui sorgono la Cattedrale e il Municipio costituisca un modello di “Piazza Ideale”, quasi sospesa in aria. 

La Signora Anna ci ha raccontato che Noto è una delle poche città di fine ‘600 costruite su progetto, con strade che, in verticale rispetto alla Piazza del Municipio, confluiscono sul Corso Vittorio Emanuele, mettendo così in collegamento le zone periferiche con il centro storico.  Ci ha parlato delle tante chiese costruite con gli annessi conventi, dei palazzi nobiliari, dei vicoletti pieni di botteghe di artigiani che lavoravano per i nobili. 

Nello specifico, ci ha raccontato il motivo per cui la nostra Cattedrale è intitolata a San Nicola di Bari, così come tante chiese del sud Italia. Dopo questo excursus storico e culturale, abbiamo parlato del nostro Santo Patrono, della sua vita, della processione, dei “cili” e del motivo per cui i festeggiamenti cadono il 19 febbraio e l’ultima domenica di agosto.

Saremmo rimasti ad ascoltare ancora e a dire: “Signora Anna …ci racconti altre storie!” sia per il suo modo coinvolgente di raccontare, sia perché siamo sicuri che Noto ha ancora tanto da dirci. 

Clan Roboris, AGESCI Noto 1

Un momento dell'intervista

Un momento dell'intervista

Title: Alyssum maritima

Alyssum maritima

Descrizione

Chiamato anche "Alisso odoroso", presenta fiori bianchi o violetti e comprende numerose varietà di diversa altezza. È una pianta nana che forma cespi fitti e ricadenti, lunghi circa 30 cm.

I fiori riuniti in grappoli terminali agli apici degli steli erbacei sono di colore bianco o viola. 

I fiori sono ermafroditi e attinomorfi e sono composti da quattro petali a forma di cuore rovesciato.

Storia 

Il nome del genere (Alyssum) venne imposto prima dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) e poi da Linneo (nel 1735). Alyssum deriva dal termine greco alysson e significa "contro la rabbia". Erano utilizzate un tempo per guarire gli infermi, e in particolare per curare l'idrofobia. 

La conoscenza del genere (o di alcune sue piante) si può far risalire già all'inizio del Settecento. 

Si hanno infatti notizie di come nel 1710 veniva coltivata dai giardinieri dell’epoca, per la creazione di macchie colorate o per decorare giardini rocciosi e alpini.

Caratteristiche 

Le foglie emanano un delicato profumo di miele. Il fusto è appena legnoso nella parte inferiore, mentre è eretto o ascendente nella parte superiore. Le piante di alisso sono resistenti ai parassiti e alle malattie fungine. È resistente alla siccità; i fiori fragranti di questa pianta, attraggono spesso insetti come le api impollinatrici.

Title: Asphodeline lutea

Asphodeline lutea

Descrizione 

È una pianta che può raggiungere dimensioni dai 50 cm al metro d’altezza. 

Presenta un fusto eretto, robusto, cilindrico, di colore verdastro, foglioso e senza rami. 

Foglie verdi lungo tutto il fusto, le inferiori maggiori, le superiori progressivamente ridotte. 

Si presentano sotto forma di una rosetta di grosse foglie radicali, strette e lineari, con l'estremità appuntita.

Storia

Il gambo dell'asfodelo giallo è un cibo antico. Il gambo veniva scottato e messo poi sott’olio.

Durante la seconda guerra mondiale la pianta, nel meridione d'Italia, costituì un buon supporto alimentare per chi aveva scarse quantità di cibo. I tuberi hanno alimentato gli uomini preistorici e, in tempi più recenti, le classi indigenti durante la carestia; mentre lo stelo, anch’esso secco, serviva per bruciare le setole dei maiali appena morti.

I fiori dell’asfodelo venivano utilizzati anche per adornare le tombe. Per gli Antichi Greci, il regno dei morti era ricoperto di asfodeli. Si pensa infatti che il motivo per cui venivano piantati, sulle tombe, fosse proprio per offrire ai defunti il necessario nutrimento. Un esempio forse non casuale lo abbiamo in Capo Miseno. L’asfodelo è stato sin da subito associato alla morte, in quanto veniva assunto in carestia. 

Caratteristiche 

La radice è commestibile. 

Le foglie vengono tuttora usate per confezionare un prodotto caseario tipico pugliese, la "burrata". 

I cestini di asfodelo sono ancora oggi una tradizione antica che viene tramandata di madre in figlia in Sardegna. La medicina popolare utilizza i tubercoli per la cura di dermatiti e scottature. 

Miti, leggende e simboli

Nel linguaggio dei fiori, l’asfodelo è il simbolo del rimpianto.

Secondo il mito greco, i prati di asfodelo erano il luogo dell’Oltretomba, ma per i suoi molteplici usi, erano un’erba sacra o altrimenti detta ‘degli eroi’. 

L’asfodelo probabilmente era lo scettro degli eroi, un simbolo di regalità e di potenza superiore.

Title: Elytrigia repens

Elytrigia repens

Descrizione

La gramigna presenta un lungo rizoma strisciante e cavo, da cui si dipartono dei rami aerei con grossi nodi, dai nodi si staccano inferiormente le radici e superiormente i fusti.

Le foglie sono lunghe 20-30 cm., ruvide superiormente, lisce inferiormente, il margine è ruvido per la presenza di piccoli denti. L’infiorescenza è formata da tre-sette spighe, simili a quelle del grano, è composta da una decina di spighette, ognuno di questi fiori sono racchiuse le glumette. Il frutto è una cariosside. 

Storia

L’etimologia del nome di questa pianta deriva dal greco agros = campo e piros = frumento, cioè grano selvatico per la somiglianza delle sue spighe a quelle del grano. La seconda parte del suo nome deriva latino repere = strisciare. È stata utilizzata in fitoterapia nella Grecia classica. I cani ammalati sono soliti dissotterrarne e mangiarne le radici e gli erboristi medioevali la usavano per il trattamento delle infiammazioni delle vesciche. I rizomi essiccati venivano spezzati e utilizzati come incenso durante il medioevo in Nord Europa, dove altri tipi di resine a base di incenso non erano disponibili.

Caratteristiche

I rizomi freschi sono utilizzati in cucina come anche le giovani foglie e germogli. Con questa pianta si è prodotto anche un surrogato del caffè. 

Miti, leggende e simboli

Secondo la leggenda, durante la creazione del mondo, Dio diede origine a tantissime famiglie di piante tra cui quella delle graminacee: il grano utile per fare il pane, il riso coltivato nelle zone paludose delle pianure, l'avena, l'orzo e il granturco utilizzati per nutrire gli animali ed infine la gramigna che era la più rigogliosa, di tutte le piante.

La gramigna però, consapevole della propria bellezza, diventava sempre più superba.

Una leggenda narra che una notte, mentre uomini e animali dormivano tranquilli passò sopra i campi e i boschi il diavolo avvolto nel suo mantello nero come la pece. Il demonio andava in cerca di esseri malvagi da portare all'inferno e, quando fu sopra la pianta di gramigna, sentì la superbia che emanava, così, per farla morire, le gettò addosso una manciata di cenere ancora rovente. La pianta, terrorizzata, per non farsi colpire, penetrò sotto terra allungando e ramificando enormemente le sue radici. Da quel giorno la gramigna strisciò con il fusto sul terreno diventando infestante e dannosa per le altre piante, tanto che l'uomo la chiamò "zizzania", la strappò e la bruciò come un'erbaccia. Il Creatore però ne ebbe compassione e rese utili le sue radici. 

Title: Eryngium maritimum

Eryngium maritimum

Descrizione

È una pianta che presenta un robusto rizoma, priva di peli, coriacea e spinosa, comune lungo le coste e sulle spiagge. Il fusto eretto, è alto 50-60 cm ed è anch’esso robusto, ramificato, di colore grigio-verde, provvisto alla base di foglie picciolate, con lamina suborbicolare o reniforme, divisa in 3-5 lobi, coriacea, con un margine sinuosamente dentellato e spinoso. Le foglie superiori sono di colore grigio-verde con tonalità azzurrine o violacee.

Storia 

Il nome generico ha etimologia incerta: potrebbe derivare dal greco 'eryngion' (riccio) o 'eryma' (difesa), in entrambi i casi alludendo alla forte spinosità. In Gran Bretagna, nei secoli passati, le radici di questa pianta venivano usate per creare dolci chiamati eringoes.

Caratteristiche

È diffusa lungo tutti i litorali italiani ma in via di rarefazione a causa dell'impatto turistico sulle spiagge. La pianta riesce a bloccare il movimento della sabbia contribuendo alla stabilizzazione delle dune mobili e agevolando lo sviluppo della vegetazione colonizzatrice.

La fioritura è molto appariscente, di colore blu metallico.

Originaria delle coste mediterranee e dell'Atlantico, arriva a nord fino alla Gran Bretagna, ma preferisce le zone centro-mediterranee; vegeta sulle sabbie e sulle dune litorali.

Title: Festuca Circummediterranea

Festuca Circummediterranea

Descrizione

Pianta erbacea perenne, comune nei luoghi aridi e sassosi, prati e pascoli di tutti i continenti. 

Le foglie sono filiformi, acute e rigide, lunghe da 20 cm a 50 cm e più.

Storia

Il nome generico, che in latino significa 'fuscello', era già in uso presso i Romani: fu citato da Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C) e poi da Plinio il vecchio (23-79 d.C.) per una pianta simile ad una Poacea.

Il nome specifico si riferisce alla distribuzione estesa all’intera regione Mediterranea. 

Caratteristiche

La festuca circummediterranea è una specie a distribuzione euro – mediterranea, presente in tutte legioni d’Italia salvo che in Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e forse Lombardia, ma comune solo al centro-sud. Cresce dalla base delle montagne (anche nella fascia delle leccete) a prati aridi steppici derivanti dalla degradazione di boschi caducifogli, sino ai pascoli d'altitudine a 2000 m circa.

Title: Inula Chritmoides

Inula Chritmoides

Descrizione

È una pianta suffruticosa perenne, alta 40-70 cm, fino ad un massimo di 80 cm, glabra, papillosa, con fusti legnosi alla base, ascendenti e ramificati corimbosi in alto. 

Presenta foglie carnose, lineari-cilindriche, sessili, le maggiori (4x30-35mm) intere o spesso con  tre  denti  ottusi  all’apice, le minori  invece (2x15-20mm) raccolti  in  fascetti ascellari, generalmente semplici, presenza  di  margini seghettati o dentati.

Alcuni fiori marginali sono di sesso femminile mentre altri asessuati.    

Storia

Il nome del genere Limbarda, deriva dal suo nome comune francese “limbarde”, mentre l'epiteto specifico crithmoides, si riferisce alla somiglianza con il finocchio di mare, Crithmummaritimum, originario anch’esso delle regioni europee mediterranee.

Per molti anni la limbarda è stata classificata tra le specie del genere Inula con il nome Inula crithmoides, successivamente la sua tassonomia è stata meglio approfondita. Lo svedese Arne A. Anderberg, studioso di botanica e tassonomia, a partire dal 1985 concentrò la  sua  ricerca  sulla  filogenesi  delle  angiosperme,  occupandosi principalmente della famiglia delle Asteraceae.

La tassonomia e la filogenesi della tribù Inuleae fu revisionata da Anderberg (1991), prendendo in considerazione la presenza/assenza di 30 caratteri.    

Caratteristiche

L'enula marina si sviluppa  nelle  aree  costiere. Le comunità di Limbarda crithmoides si sviluppano su terreni per lo più sabbiosi e vicino al mare, lungo tutta la costa mediterranea.

Cespugli di varie dimensioni crescono anche nelle fessure ed anfratti delle scogliere. Cresce generalmente in prati salmastri, più raramente su sabbie, ciottoli o scogli, sempre presso il mare. Gli oli essenziali e gli estratti di molte specie di piante sono diventati popolari negli ultimi anni con l’obiettivo di caratterizzarne l’attività antiossidante e il loro utilizzo nel settore alimentare. Per le preparazioni gastronomiche si utilizzano le foglie ed i germogli quando sono ancora nella fase erbacea. Mediante l’aiuto del gruppo Botanico di Palinuro è stato possibile ottenere alcune delle principali ricette culinarie a base di “critimo”.

Title: Lotus tetragonolobus

Lotus tetragonolobus

Descrizione

Pianta erbacea annuale alta 30-50 cm con fusti prostrati ascendenti, pelosi e poco ramificati. Presenta foglie tripartite con segmenti obovati, pelosi e a margine intero. I fiori sono caratterizzati da peduncoli lunghi quanto le foglie, corolla purpurea e calice con denti lunghi il doppio del tubo. Il frutto è un legume quadrangolare con 4 ali increspate. L'utilizzo alimentare lo vede come taccola mangiatutto, dal sapore delicato e molto gustoso; i semi possono essere tostati e macinati per poi essere impiegati come sostituto del caffé.

Storia

Il nome del genere deriva dalle parole greche "tetra" = quattro, "gonia" = angolo e "lobos" = lobo: con lobi quadrangolari; il nome della specie dal greco " porphyreos " = porpora scarlatto, in riferimento al colore dei fiori.

Caratteristiche 

Viene coltivato per i suoi baccelli verdi e commestibili, che sono uno degli ortaggi noti come ‘’piselli asparagi’’ o ‘’piselli alati’’.

Title: Nerium oleander

Nerium oleander

Descrizione

È una pianta arbustiva sempreverde a portamento cespuglioso, alta fino a 5 m, con fusto eretto e ramificato fin dalla base. Le foglie, lunghe 8 - 14 cm, sono persistenti, semplici, con picciolo di 5 - 8 mm, nervature patenti, la parte superiore lucida più chiara e grigiastra quella inferiore; si inseriscono nel ramo in modo opposto o verticillato a 3, e se giovani sono verde chiaro e glabre. La foglia si presenta con 2-3 ordini di cellule a palizzata e con la presenza di cavità rivestite di peli a difesa degli stomi per limitarne la traspirabilità quindi per sopportare il clima arido.

I Fiori sono ermafroditi posti in cime corimbose, tubulosi con petali semplici o doppi e con peduncolo di 2 - 3 mm; di colore che va dal bianco al roseo o al giallo e al rosso carminio.

Storia

La storia racconta, che diversi soldati delle truppe napoleoniche morirono per aver imprudentemente mangiato carne che era stata posta ad arrostire su spiedi ottenuti con legno di oleandro.

Caratteristiche 

Arbusto sempreverde con foglie lanceolate, coriacee, con grandi fiori bianchi, rosa o purpurei, con un forte profumo, in corimbi terminali. È un arbusto piuttosto rustico e conseguentemente di facile coltivazione. Resiste bene a lunghi periodi di siccità e risente solo di inverni particolarmente freddi. Trattasi di una pianta velenosa il cui infuso può essere letale, per questo motivo non possono essere bruciati o maneggiati eccessivamente rametti, foglie e fiori recisi. 

Sembra che l’oleandro sia una delle piante più tossiche che si conoscano.

Miti, leggende e simboli 

Plinio ci informa, inoltre, che l’Oleandro ha la capacità di uccidere i serpenti e, se accostato agli animali selvatici, causa loro un intorpidimento. 

Una leggenda riportata nei libri apocrifi narra di come un sacerdote, al momento di decidere a chi concedere in sposa la Vergine Maria, chiese ai pretendenti di scagliare un ramo da donare alla donna; Giuseppe optò per un ramo di oleandro che, poggiato sull’altare, germogliò fiori bellissimi. Il sacerdote lo interpretò come un segno divino e decise di dare Maria in sposa proprio a Giuseppe. Le lunghe foglie affilate di color verde intenso prevalentemente disposte a gruppi di tre simboleggiano l’Armonia dell’Universo. 

In Toscana e in Sicilia si usava coprire i defunti con i fiori dell’Oleandro, sottolineandone il significato funerario. Nel vocabolario ottocentesco d’amore, l’Oleandro simboleggiava la baldanza. Questa simbologia è, probabilmente, un retaggio della cultura greca che si ipotizza considerasse l’arbusto sotto la protezione della dea Afrodite. Attualmente è invece considerato il simbolo della diffidenza.

Iconografia 

È presente nel dipinto di Gustave Klimt – fanciulle con oleandro.

Nell’iconografia cristiana a volte il bastone di San Giuseppe viene raffigurato con fiori di oleandro

Riferimenti Barocco/Liberty

Veniva utilizzato nei motivi decorativi tipici dell’Art Nouveau.

Title: Ophrys speculum

Ophrys speculum

Descrizione

Può raggiungere i 20 cm di altezza, le sue foglie sono di forma ovato-lanceolata, disposte a rosetta, quelle disposte più in alto sono avvolgenti. 

L'infiorescenza può portare fino a otto fiori con sepali laterali divergenti, di colore verdastro con striature brune; i petali sono corti, di color porpora.  

Il labello è bordato da una fitta peluria rossastra ed è trilobato; il lobo mediano più grande, ovato, è quasi interamente occupato da una macula argenteo-bluastra bordata di giallo, che costituisce l'elemento distintivo della specie. 

Storia

Il nome deriva dal greco ophrys = sopracciglio per la forma dei tepali interni, simili appunto a sopracciglia. Il nome specifico dal latino speculum = specchio, in riferimento alla grande macula lucente. 

Nel 1887 il botanico inglese Henry Groves aveva rilevato la presenza dell’orchidea Ophrys speculum. Nel 2005 il botanico tedesco WernerGreuter, ha confermato definitivamente il binomio Ophrys speculum. 

Nel Medioevo le radici di queste piante erano usate per la preparazione di filtri amorosi. I Greci la chiamavano kosmosandalon, "sandalo del mondo", a causa della forma del labello che può ricordare la punta di una scarpa.

Caratteristiche 

Se si trovano degli esemplari in natura si consiglia di non prelevarli, in quanto specie protetta. 

La forma dei fiori alle volte può ricordare quella di insetti di vario tipo, ad esempio ragni, farfalle. 

Miti, leggende e simboli 

È simbolo dell'armonia, della perfezione dell’animo e dell'immagine della bellezza assoluta e dell'eterna giovinezza.

Title: Silene fruticosa L.

Silene fruticosa L.

Descrizione

Pianta alta 2-5 dm, glabra, con fusto legnoso e rami densamente fogliosi.

Le foglie sono glauche, cigliate sul bordo, le inferiori oblanceolato-spatolate, acute, le superiori lanceolato-lineari, patenti o ricurve. 

Le “Silene” presentano dei fiori bianchi, giallastri, rosei o rossi.                                                

I petali sono rosei, bilobi, con scaglie acute. 

Il frutto è una capsula maggiore del carpoforo.

Storia 

Il nome di questa pianta è anche connesso con la parola greca “sialon” (= saliva); un riferimento alla sostanza bianca attaccaticcia secreta dal fusto di molte specie del genere.

Conosciuta inoltre con i termini di strigolo, bubbolino, erba del cuoco, o schioppettino per via dello scoppiettio prodotto dal fiore se stretto fra le dita. 

Nella medicina popolare del passato si pensava avesse funzioni diuretiche e veniva utilizzata anche come rimedio contro la gotta, il fuoco di Sant’Antonio e l’anemia, ma la pianta non è inserita nell’elenco ufficiale delle piante officinali e non è usata in erboristeria.

Caratteristiche

Oggi è una pianta molto ricercata perché considerata fra le migliori erbe commestibili, ma solo prima della fioritura, dopodiché le foglie basali diventano troppo coriacee. 

Miti, leggende e simboli 

Il nome del genere (Silene) si riferisce alla forma del palloncino del fiore. Si racconta che Bacco avesse un compagno di nome Sileno con una gran pancia rotonda. 

Title: Palazzo Trigona

Palazzo Trigona

Descrizione

Questo palazzo, considerato come il palazzo barocco più bello della città, apparteneva alla potente famiglia Trigona, marchesi di Canicarao. 

Sulla facciata troneggiano tre grandi aquile aragonesi in pietra, a memoria delle origini regali della famiglia, è divisa in due ordini orizzontali e in tre corpi, e presenta un’imponente portale arcuato posto in corpo avanzato delimitato da un doppio ordine di pilastri, con capitelli di tipo corinzio, arricchiti da formelle in bassorilievo raffiguranti motivi floreali, che sorregge il possente balcone centrale, racchiuso da una pregevole inferriata in ferro battuto. A fianco del portale vi sono sei finestre per lato che si presentano di forma trapezoidale, incassate in un elegante cornice di pietra bianca, arricchite nella parte superiore da timpani circolari a base aperta e da cartigli posti nella parte inferiore. Sotto le finestre più esterne vi sono due portoncini arcuati che conducono ai magazzini sotterranei del palazzo. 

Il cortile interno è delimitato da grandi balconate, che si proiettano dalla facciata interna in ordine decrescente, fino ai piani più bassi.

Riferimenti storici

Nei sontuosi saloni venivano organizzati i balli in onore della regina di Napoli, ai quali partecipava tutta l’aristocrazia netina.

Un ala del palazzo Trigona viene gelosamente custodita, quale abitazione, dall’ultima marchesa di Canicarao, mentre il resto dell’edificio, proprietà del Comune, è già in gran parte ristrutturato e ad oggi ospita conferenze, mostre e convegni. 

A restauro ultimato divenne anche sede dell’Istituto Internazionale di Scienze Criminali. 

Il palazzo venne progettato in un primo momento da Rosario Gagliardi ma venne poi completato da Vincenzo Sinatra e i fratelli Labisi.

Title: Palazzo Nicolaci

Palazzo Nicolaci

Descrizione

L’inizio dei lavori cominciò nel 1720, anche se fu completato da Vincenzo Sinatra soltanto nel 1765. Residenza nobiliare urbana della famiglia Nicolaci, in pieno stile barocco, la facciata è caratterizzata da un ampio portale fiancheggiato da due grandi colonne ioniche e sormontato da una balconata; ai lati troviamo una sequenza di balconi delle inferriate in ferro ricurvo, sorretti da mensoloni in pietra scolpita con le sembianze di figure quali sirene, leoni, sfingi, ippogrifi, cavalli alati e angeli.

L’edificio si articola su quattro piani: il pianterreno, detto “dammusato”, destinato alle scuderie ed ai magazzini per le scorte di generi alimentari; il primo piano, detto “mediastino”, era l’abitazione del barone, Giacomo Nicolaci, committente dell’edificio; il piano superiore era adibito a residenza nobile dei familiari; l’ultimo piano, il sottotetto, era destinato alla servitù.

Riferimenti storici

L’ala principale di palazzo Nicolaci è stata acquistata dal Comune di Noto nel 1983 ed è stata completamente recuperata grazie ad una serie di restauri, operati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Siracusa sotto la guida dell’architetto Giovanna Susan. Questi interventi sono stati mirati al ripristino degli appartamenti, con il rifacimento dei pavimenti, delle carte da parati, del restauro dei dipinti e degli affreschi che decoravano tutti gli ambienti del piano nobile.

Iconografia

Sulla facciata del palazzo sono state scolpite figure grottesche come ippogrifi, leoni, sfingi, sirene, angeli e cavalli alati. 

All’interno dell’edificio, nel Salone delle feste, troviamo sul soffitto una copia dell’allegoria del carro di Apollo che insegue l’Aurora, di Guido Reni.

Title: Chiesa di San Carlo Borromeo

Chiesa di San Carlo Borromeo

Descrizione

La chiesa è nota anche come Chiesa del Collegio per l’annesso monastero dei gesuiti. 

Edificata a partire dal 1730, è dell’antica residenza dei Gesuiti di Noto. 

All’interno è a pianta longitudinale, con tre navate coperte da una volta a botte e scandite da semi colonne. La concavità dell'abside è richiamata, nei pressi del portale, da un corrispondente atrio curvilineo. Nella cantoria, sopra l’ingresso della chiesa, si trova un organo settecentesco ampiamente decorato.

La facciata, a tre livelli, è caratterizzata dall'uso di colonne libere coronate da capitelli di ordine dorico, ionico e corinzio e dal caratteristico andamento mistilineo-convesso. 

Riferimenti storici

La chiesa andò a sostituire la costruzione che esisteva in precedenza, crollata in seguito al terremoto della Val di Noto del 1693. 

La  campana e l'altare maggiore provengono dalla chiesa dei Gesuiti della Noto Antica.

Note bibliografiche

Puglisi, V., "Studi e interventi sul prospetto della chiesa di San Carlo Borromeo a Noto", in Annali del Barocco in Sicilia. Il restauro del Barocco nella città storica, Gangemi, Roma 2004

Title: Chrysanthemum Coronarium

Chrysanthemum Coronarium

Descrizione

È una pianta erbacea alta circa 30-120 cm, che emana un forte odore aromatico. 

Possiede fusti eretti e molto ramificati. 

Le foglie, di colore verde chiaro, sono sessili, profondamente divise in lobi lanceolati, la maggior parte bipennapartite, assai frastagliate, quelle di secondo ordine sono spesso dentate. 

Le inflorescenze sono dei capolini tondi con fiori a ligula bianchi all'esterno e gialli al centro. 

Storia

Il nome specifico “coronarium” deriva dal latino “corona” per la disposizione dei fiori. 

Il suo nome deriva dalle parole greche chrysós, che significa oro, e ánthemon, che significa fiore, quindi, nel complesso chrysanthemum significa fiore d’oro. 

Caratteristiche

Le foglie e i giovani germogli sono utilizzati in cucina ed è usato anche in medicina. 

Miti, leggende e simboli

Nel linguaggio dei fiori il Crisantemo giallo indica un “amore trascurato”.

L’espressione del crisantemo come simbolo di pace è rappresentata in Giappone, dalla scelta del disegno del crisantemo per il francobollo da 2 Yen, emesso in ricordo della firma del trattato di pace che mise fine alla guerra del Pacifico. 

In Italia è il fiore dei morti, semplicemente per il fatto che il crisantemo fiorisce in prossimità della celebrazione dei defunti, anche se in origine quando fu importato rappresentava e simboleggiava anche sul nostro territorio la gioia e la vitalità. 

Tra le sue qualità, inoltre, il crisantemo dai petali bianchi è simbolo di verità e il crisantemo dai petali rossi rappresenta l’amore.

Iconografia

È un soggetto presente in diverse forme d’arte: nei dipinti, nella letteratura e nei tessuti ricamati.

Title: Chiesa di San Domenico

Chiesa di San Domenico

Descrizione

La chiesa di San Domenico è una architettura fra le più importanti del barocco. Fu edificata come istituzione conventuale dei padri domenicani presenti già in Noto antica fra il 1703 ed 1727. 

La facciata è a due ordini, il primo dorico ed il secondo ionico, mentre la parte centrale sporge verso la strada con forma convessa. 

L'interno è strutturato su una pianta a croce greca allungata, con cinque cupole riccamente decorate da stucchi e con altari laterali con dipinti settecenteschi, tra i quali spicca in particolare la Madonna del Rosario di Vito D'Anna. 

L'ex convento è stato in gran parte ricostruito eccetto che nell'ala verso sud.

Riferimenti storici

L’ex convento adiacente fu la nona istituzione dell'Ordine dei frati predicatori in terra di Sicilia, fondata nel 1344 e originariamente sotto il titolo dell'Annunziata.

Note bibliografiche

Tobriner, S.,  La genesi di Noto, Bari, Edizioni Dedalo, 1989.
Touring Club Italiano-La Biblioteca di Repubblica, L'Italia: Sicilia, Touring editore, 2004.
Lopez, J.,  "Quinta parte dell'Istoria di San Domenico, e del suo Ordine de' Predicatori’’, pagina 366.

Title: Chiesa di Santa Chiara

Chiesa di Santa Chiara

Descrizione

Progettata da Rosario Gagliardi intorno al 1730, venne completata nel 1758 e fu annessa al monastero. 

L'esterno è caratterizzato dalla presenza di una torre campanaria, ornata negli angoli da due capitelli. All’interno presenta una pianta centrale di forma ellittica, sul modello delle chiese ellittiche romane edificate tra Cinquecento e Seicento. Lo stile architettonico barocco si riconosce grazie alle numerose decorazioni con stucchi e putti. Sulle dodici colonne interne sono presenti le statue degli apostoli, eseguite dal decoratore e stuccatore Basile. Nell'altare di destra è conservata la pala del 1854, I Santi Benedetto e Scolastica, del pittore palermitano Salvatore Lo Forte.  In quello di sinistra è, invece, custodita una Madonna col Bambino cinquecentesca in marmo, attribuita ad Antonello Gagini.

Riferimenti storici

Originariamente l'unico portale della chiesa era quello situato lungo Corso Vittorio Emanuele, ma  verso la fine del XVIII secolo ne fu aggiunto un altro dal lato di via Pier Capponi, a causa di alcuni lavori lungo il Corso. Dopo il completamento dei lavori fu però riscontrato un notevole abbassamento del piano stradale, che rese pertanto inagibile il portale originario, tanto che oggi l'unico accesso alla chiesa è quello da via Pier Capponi.

La chiesa è stata oggetto di lunghi lavori di restauro, conclusi nel 2006 a cura dello Studio di ingegneria Stancanelli-Russo di Catania e dell'Architetto Giovanni Amandorla di Palermo.

Title: Palazzo Ducezio

Palazzo Ducezio

Descrizione

Questo palazzo è sede del municipio e la sua denominazione è in onore di Ducezio, fondatore della città. Fu progettato da Vincenzo Sinatra nel 1746, ma venne portato a compimento solo nel 1830 e il secondo piano venne costruito nella prima metà del XX secolo dall'architetto Francesco La Grassa. 

La facciata, convessa, è caratterizzata da 20 arcate, sorrette da colonne con capitelli ionici nella sezione inferiore e da tredici finestroni rettangolari nella sezione superiore. 

All'interno abbiamo la sala degli Specchi, il salone ovoidale arredato con mobili in stile Luigi XV e grandi specchi, scolpiti dall'avolese Sebastiano Dugo. Nella volta della sala campeggia La Fondazione di Neas, affresco neoclassico del pittore Antonio Mazza, che raffigura la fondazione di Noto da parte del condottiero siculo Ducezio.

Riferimenti storici

La pittura centrale sulla volta, attribuita ad Antonimo Mazza, è stata realizzata nel 1826, e raffigura una allegoria di Ducezio, dove un ufficiale mostra il sito di Neas sul monte Alveria, sito sul quale, in età pre-ellenica, sarà riedificata la città fortificata di Noto Antica per difendersi dall'attacco dei Greci. Nei riquadri laterali vi sono, invece, iscrizioni che riguardano i fasti della città di Noto ed espressioni tratte da Diodoro Siculo, Littara e Randazzo. Sul lato sinistro v'è anche un telegramma di Garibaldi ai patrioti di Noto del 1860.

La Sala degli Specchi è il salone di rappresentanza della città e continua, ancora oggi, ad ospitare delegazioni illustri e manifestazioni di pregio, come la firma del protocollo d'intesa tra gli Otto Comuni UNESCO per la creazione del distretto culturale. Il salone è stato utilizzato per ricevere molti Capi di Stato e, dopo la chiusura negli anni Novanta e il successivo restauro, è stato riaperto il 14 luglio del 2001 in occasione della visita della delegazione del Governo Ungherese, per il gemellaggio tra la città e l'Ungheria, che coinvolgeva i due poeti Sador Petofi e Giuseppe Cassone, traduttore italiano del poeta ungherese. In quell'occasione il governo ungherese ha regalato alla città un busto in marmo, oggi posto all'entrata del Municipio.