Siracusa

Siracusa

Title: Palazzo Mezio Blanco

Palazzo Mezio Blanco

Descrizione

Il palazzo venne edificato dalla nobile famiglia Blanco  ed in seguito venne abitato anche dalla famiglia Mezio, nobili di Solarino.     

La facciata dell'edificio è disposta in tre ordini orizzontali: l'ordine inferiore possiede tre portali arcuati di cui quello centrale con una decorazione in pietra bianca, oltre ad essere inquadrato da eleganti pilastrini che sorreggono il soprastante balcone centrale; l’ordine centrale possiede il già citato balcone caratterizzato da un mensolone a forma di grifone, mentre quelli laterali possiedono mensoloni semplici, così come gli altri tre balconi dell'ordine superiore. Tutti i balconi hanno aperture sormontate da travoni merlati, l'unica differenza è che quelli dell'ordine centrale sono arcuate mentre quelle dell'ordine superiore sono rettangolari. Infine una bella merlatura cinge la facciata del palazzo.

Riferimenti storici

Nel 1997, venne intitolata una via e la Biblioteca Comunale.

Title: Duomo di Siracusa

Duomo di Siracusa

Descrizione

Il piano inferiore è formato da sei alte e robuste colonne costruite in ordine corinzio, di cui le quattro centrali sorreggono un elaborato timpano spezzato con merlature. Il piano superiore presenta, invece, una forma trapezoidale, delimitata da due contrafforti a spirale posti nei vertici bassi, i quali sono caratterizzati da bassorilievi scolpiti a forma di gigli. Gli altri due portali, minori, sono delimitati nella loro parte esterna dalle due colonne laterali, che sorreggono le statue dei due martiri siracusani: San Marciano e Santa Lucia. L'ordine superiore è, invece, composto da quattro alte e robuste colonne corinzie, che sorreggono il timpano superiore che circonda il frontone triangolare, il quale reca al centro una croce fabbricata in ferro battuto e ai lati vi sono scolpiti due angeli.  All'interno della nicchia vi è la statua dell'immacolata, dai siracusani detta "Marònna ro Pilèri" (Madonna del Piliere, del Pilar). Le statue principali del Duomo, poste al suo esterno, sono in totale cinque e rappresentano i cinque martiri legati alla storia della fede siracusana: San Pietro, posto sul lato sinistro, nella parte inferiore; San Paolo, posto sul lato destro, nella parte inferiore; San Marciano, posto sul lato sinistro del piano superiore; Santa Lucia, posta sul lato destro del piano superiore; La statua dell'Immacolata, posta al centro del piano superiore. 

Al centro di queste decorazioni vi si trova lo stemma araldico del Vescovo Marini, dove vi è scolpita al una grande aquila, che reca al suo petto uno scudo cinto da corona.

Riferimenti storici

Il terremoto del 1542 provocò un crollo al campanile, con la conseguente ricostruzione della facciata. Questo interessò le fondamenta del tempio e portò alla realizzazione di un muro di contenimento che doveva fungere da contrafforte. Si presume che la sua data di costruzione risalga al 480 a. C. e che fosse il tiranno Gelone a voler costruire un tempio dorico sui resti di un altro tempio. 

I bizantini impressero il loro stile nella nuova struttura cristiana, i musulmani successivamente, dopo la loro conquista e distruzione di Siracusa, mutarono il Duomo nel luogo principale del loro culto islamico. La chiesa divenne moschea, subendo le modifiche che richiedeva questo culto religioso. 

Con i normanni la città ritrovò il cristianesimo e quindi il Duomo riprese il suo ruolo principale di chiesa cattolica siracusana.

Riferimenti Botanici

Il giglio è una figura araldica, una delle quattro figure più popolari con la croce, l'aquila e il leone, ed è classificato abitualmente tra le figure naturali.

Title: Palazzo Migliaccio

Palazzo Migliaccio

Descrizione

Il Palazzo Migliaccio è uno dei pochi monumenti quattrocenteschi rimasti in piedi dopo il terremoto del 1693.

Il palazzo è stato chiuso al pubblico poiché pericolante e la parte che si affaccia sul Largo Aretusa è stata restaurata, ed appartiene ad un hotel.

Spiccano i suoi portali d’ingresso e le finestre di forma arcuata, nonché i bassorilievi e le merlatura a zigzag in pietra lavica. 

È impostata con tre arcate oblique, delle quali solo la centrale ha ancora una parte dell'originario ventaglio di conci. 

Al piano superiore si apre una balconata a terrazza, decorata con blocchi di pietra lavica e alternati con conci di pietra calcarea bianca dalla linea spezzata.

Riferimenti storici

Fu voluto dalla nobile famiglia Migliaccio, principi di Baucina e marchesi di Montemaggiore Belsito. La famiglia Migliaccio fu per lungo tempo padrona della terra feudale di Montemaggiore Belsito che divenne marchesato nel 1878. 

Verso la fine dell’800 il principe Antonio Licata vendette il palazzo alla famiglia Troia di Villabate.

Title: Palazzo del Vermexio

Palazzo del Vermexio

Descrizione

Il palazzo del Vermexio, detto anche Palazzo del Senato, era, in origine, un cubo perfetto, diviso a metà altezza da un lungo balcone che separa, anche stilisticamente, i due ordini: l’inferiore rinascimentale, il superiore barocco. 

Il primo piano è impostato su schemi classici, con le grandi finestre timpanate, le paraste decorate in bugnato dorico toscano e la trabeazione decorata con triglifi e metope. 

Chiude la costruzione una vasta decorazione con festoni, tra i capitelli ed un cornicione fortemente aggettante. In esso Vermexio volendolo quasi “firmare”, vi scolpì nell’angolo sinistro, un minuscolo geco (detto in siracusano “scuppiuni”) o lucertola: epiteto conferito all’architetto a causa della sua rara magrezza ed altezza. All’interno dell’atrio è parcheggiata la carrozza settecentesca (1763) del Senato, realizzata su modello delle berline austriache. 

I sotterranei del palazzo invece hanno restituito i resti di un primitivo tempio in stile ionico, risalente alla seconda metà del VI sec. Il basamento misura 59 x 25m. 

Sono sopravvissuti i frammenti di un enorme capitello e la parte inferiore di una colonna, che ha, la caratteristica di essere rivestita, fino a una certa altezza, da una fascia non scanalata, nella quale dovevano trovare posto dei bassorilievi.

Riferimenti storici

I più importanti interventi architettonici che riguardano il Palazzo Vermexio furono la realizzazione di un attico nel 1870 e, intorno agli anni ‘60, l’aggiunta di un nuovo fabbricato.

Gelone, una volta giunto al potere, abbandonò il progetto del tempio ionico preferendo avviare i lavori per la costruzione dell’Athenaion dorico.

Title: Piazza Archimede

Piazza Archimede

Descrizione

Piazza Archimede era il cuore della città, il punto di riferimento di Siracusa sino agli anni sessanta, un luogo di riunione dei nobili, artigiani e operai, nonché luogo privilegiato per grandi comizi e battaglie politiche. 

Al centro della piazza spicca la fontana di Diana, che narra la leggenda di Aretusa, opera scultorea in cemento armato, realizzata da Giulio Moschetti nel 1906. La ninfa è raffigurata nell’atto di fuggire da Alfeo che, con le braccia protese, cerca di afferrarla.

La ninfa è rappresentata nuda, mentre sta per scivolare nelle acque sottostanti con le quali si fonderà e intorno scalpitano tritoni e nereidi su cavalli marini. 

La posizione della statua, raffigurante la dea rivolta verso via Maestranza, rispecchia ancora l’antica importanza della via come zona di accesso alla piazza. Essa è incorniciata da alcuni palazzi simbolo del passato della città, quali il Palazzo del Banco di Sicilia, il Palazzo Pupillo, il Palazzo della Cassa di Risparmio, il Palazzo Gargallo, il Palazzo Lanza Bucceri e, infine,  il Palazzo della Banca d’Italia.

Riferimenti storici

Si apre al centro dell'isola di Ortigia, al termine del rettilineo corso Matteotti, frutto degli sventramenti di epoca fascista. 

Fu dedicata ad uno dei figli più illustri di Siracusa, il greco Archimede, uno dei più grandi geni della storia della matematica e della fisica

Title: Un solo luogo, mille Storie, Tanta Vita.

Un solo luogo, mille Storie, Tanta Vita.

Vi racconto la panoramica di Siracusa!

Quella che sto per raccontavi non è la storia di un personaggio in particolare, o delle sue epiche imprese. Si tratta semplicemente di alcuni ricordi del vissuto di un bimbo legati a una quotidianità che viveva gli albori di uno sviluppo sociale.

Inizi degli anni ‘60, quando il mangiadischi rappresentava il top della tecnologia stereofonica ed  echeggiava le canzoni di Adriano Celentano, Nico Fidenco,  Claudio Villa, ricordo che i miei genitori, negli assolati pomeriggi estivi, solevano di tanto in tanto trascorrere sereni momenti all’aria aperta e godere della frescura serale dopo le intense giornate di sole. 

Mio padre, ritirandosi dal lavoro nel pomeriggio non più tardi delle sedici, decideva con mia madre di impiegare la serata fuori casa e così molto velocemente si preparava la cena per la famiglia a base di  insalata di lattuga e pomodoro fresco, pane di casa, aranciata composta da un insaporitore colorante in fialetta di vetro e bustina per renderla frizzante e l’immancabile anguria rossa. Per noi bambini c’era la “manuzza” all’interno della quale spalmare un preparato di colore rosa e bianco che avrebbe dovuto dare sapore di fragola e crema.

Cena pronta e merenda in busta, mangiadischi con le batterie cariche con i quarantacinque giri nelle custodie di carta, pallone da calcio (rigorosamente di plastica ne esistevano solamente di tre tipi colorati: bianconero, nerazzurro e rossonero), caricate sul portabagagli a tetto della macchina le sedie di legno pieghevoli, tavolino e tovaglia a colori con disegni di paesaggi di praterie e cavalli, si partiva per andare a trascorrere una serata a dir poco straordinaria. 

A proposito della macchina, un piccolo inciso: quella maggiormente in uso nelle famiglie di ceto medio era la Mitica “FIAT SEICENTO” a due sportelli,  il colore più diffuso era il verde oliva e la targa, quella del mio papà, era SR 12.104, e così io la chiamavo per nome: la dodicicentoquattro.                                            

Tutti a bordo, girata la chiavetta sul cruscotto, sollevata la levetta della messa in moto posizionata fra i due sedili anteriori ed ecco che il rombo del motore faceva salire a me e mio fratello l’adrenalina del viaggio. La prima cosa che ricordo era che ci voltavamo sul sedile rivolti verso il lunotto posteriore dove fra la spalliera e il vetro c’era un ripiano orizzontale dove di solito veniva riposto un cane di plastica che muoveva la testa a seconda dei sobbalzi della vettura, che toglievamo con estrema cura, altrimenti se lo rompevamo erano guai da sculacciate di quelle serie e lì facevamo le gare con le nostra macchinine di latta, una i ladri e una la polizia. Si attraversava la città con ancora poche costruzioni, Piazza Adda campo per pecore a confine con la Ferrovia, Corso Gelone (una macchina ogni tanto), il campo Pippo Di Natale un terreno incolto e Viale Paolo Orsi da dove iniziava la grande e tortuosa salita che conduceva alla meta: “LA PANORAMICA” 

Un grande spiazzo dove parcheggiare le macchine e il largo marciapiede dove erano collocate le panchine con la lunghissima ringhiera parapetto da dove si scorgeva un panorama stupendo che abbracciava il parco archeologico immediatamente sotto, L’orecchio di Dionisio, il Teatro Greco, l’Anfiteatro Romano.

Più avanti la città, il porto, la Penisola della Maddalena, i Monti Climiti e in fondo alla vista il mare e lontanissima la costa del pachinese.

Lo spettacolo era grandioso e io, abituato a vedere soltanto il marciapiede di fronte a casa, restavo affascinato nell’osservare quello spettacolo  della natura assolutamente straordinario.

Il mio sguardo scorgeva l’orizzonte infinito e il sole, che volgeva al tramonto iniziava a tingere di rosso arancio il cielo che da lì appariva immenso.

Nel frattempo mio papà che stringeva rapporti con un altro papà sistemava su un po’ di spazio tavoli riuniti e sedie, parlando di lavoro e tempo libero, mentre  mia mamma e l’altra signora passeggiando lungo il marciapiede chiacchieravano e socializzavano osservando sempre noi bambini che stringevamo amicizia e ci scatenavamo a giocare al pallone con gli altri bambini che si aggregavano a noi, formando le squadre che nascevano al momento, senza che nessuno conoscesse qualcosa dell’altro, perché il nostro nome non era importante: ci si definiva “cosaaa” l’appartenente all’altra compagine, e “mbareee” il compagno della propria. Le famiglie che si recavano alla panoramica con la nostra stessa intenzione non perdevano tempo in convenevoli, il saluto era sufficiente nella condivisione del momento, ponendo a offerta il preparato che si era portato da casa e avviando nuovi rapporti sociali senza formalizzare nulla di più che il semplice saluto. Le serate si concludevano con quella serenità e simpatia nate così, nella semplicità di un saluto e nella condivisione di un momento comune che vedeva persone assolutamente sconosciute trasformare un rapporto in amicizia talvolta anche duraturo nel tempo.

La serata si concludeva non prima di esserci divertiti a piazzare a turno il ditino sul beccuccio della fontanella sistemata alla fine del marciapiede e, giocando come già sapevamo, ci “sgricciavamo” l’acqua che facevamo schizzare fuori dalla fontana. Le 22.30 ed era arrivato il momento di andare via; si rimetteva in macchina quello che era servito per trascorrere la serata, saluti affettuosi e promesse di rivedersi ancora e così il ritorno sulla via di casa, ripercorrendo, stavolta in discesa, la buia strada dell’andata; da lì, osservavamo con mio fratello oltre il guard-rail la campagna con installati a intervalli alcuni faretti a forma cilindrica arrotondati in sommità alti circa un metro (ancora visibili ma non funzionanti) rivestiti di ghiaia che proiettavano sullo sfondo una suggestiva luce bianca che si rifletteva sui reperti rocciosi ai lati della strada: visti dalla macchina, davano l’impressione di emanare la stessa cromatura delle televisioni in bianco e nero dell’epoca e mio papà, per farci stare buoni in macchina diceva: “vedete quelle luci bianche? Sono delle televisioni, se fate i bravi ci fermiamo e vi faccio vedere la tv”  e così io e mio fratello speranzosi di poter concludere le serate con la tv (noi ancora a casa non l’avevamo) rimanevamo fermi e zitti, ma puntualmente la stanchezza dei giochi e il buio ci coglievano in un sonno profondo e così tutto veniva rimandato alla prossima gita.

Il tempo passava e noi adolescenti oramai tra i quattordici e i quindici anni tornavamo a ripercorrere quelle strade ma stavolta da soli, o meglio in compagnia delle nostre fidanzatine che timidamente, dopo ore e a volte giorni di preparazione psicologica, riuscivamo a convincere a salire a bordo dei nostri scooter ovvero, l’indimenticabile “CIAO” della Piaggio, o per chi aveva i genitori con maggiore disponibilità economica la grandissima “VESPA 50”.

Ebbene sì, i pomeriggi tra le sedici e le diciassette e trenta (non di più) avevamo raggiunto questo privilegio e noi salivamo su quella impervia salita della panoramica per trascorrere quel frangente di tempo, ma stavolta con una ragazza. Parcheggiavamo lo scooter, inserivamo la catena con il lucchetto alla ruota posteriore e iniziavamo a passeggiare su e giù per quel marciapiede tenendoci vicini al parapetto per ammirare quello spettacolo che la natura ci offriva; nel frattempo parlavamo, parlavamo tantissimo, di noi dei nostri progetti, delle nostre crisi e poi, con la delicatezza di un cristallo ci accingevamo a tener per mano la nostra unica e bellissima fidanzatina, quasi timorosi di infrangere quel piccolo e fragile arto, ci sedevamo sulla panchina per poterci guardare negli occhi sussurrandoci le dolcissime parole “ti voglio bene”.

Grazie Panoramica

Tratto dal racconto di Marcello Arrisicato

Il momento dell'intervista

Il momento dell'intervista

Title: Taraxacum officinale

Taraxacum officinale

Descrizione 

ll Taraxacum officinale, noto anche come “dente di leone”, ha fusti semplici, fistolosi privi di foglie, alti fino a 40 centimetri. Le foglie, che sono riunite in una rosetta basale, possono essere più o meno erette o sdraiate al suolo con forma lanceolata od obovale e irregolarmente incisa; l’apice è spesso triangolare, i lobi arcuati o falciformi. Ha fiori riuniti in capolini portati singolarmente all’apice dei fusti fistolosi; i capolini formano un involucro con più serie di brattee; i fiori hanno una corolla tubolare prolungata in una ligula normalmente gialla e aranciata solo nei fiori periferici.

Storia 

Era noto già agli antichi che però non lo mangiavano perché era considerato troppo amaro e non lo usavano molto neanche in medicina. La pianta divenne importante in seguito durante il Rinascimento, periodo in cui viene identificata come uno dei più importanti rimedi depurativi.

Nella la Seconda Guerra Mondiale, una varietà di tarassaco venne coltivata in Russia proprio per produrre gomma per pneumatici.

Caratteristiche

Tabernaemontanus, un farmacista tedesco vissuto nel 1500 definisce il tarassaco una pianta dalle virtù ineguagliabili ma è solo nel XX secolo che si scopre veramente questa pianta, tanto che la terapia a base di tarassaco viene chiamata “tarassacoterapia”. Il lattice che fuoriesce quando si tagliano le foglie o gli steli, se ingerito può essere velenoso.

Miti, leggende e simboli

Nella mitologia si narra che Teseo, sotto consiglio di Hecate, mangiò per 30 giorni di fila solo questi fiori, per diventare abbastanza forte e sconfiggere il Minotauro.                       

Secondo una tradizione popolare molto diffusa, i pappi del dente di leone sono l’oracolo più adatto per calcolare “quanto tempo ci vorrà” affinché un evento si verifichi: basta trovare un pappo dallo stelo lungo, formulare una domanda e stabilire un tempo (giorni, settimane, mesi o anni) e soffiare sul piccolo batuffolino bianco ripetendo la domanda a ogni soffio fin quando tutti i piccoli ombrellini non saranno volati via; a quel punto basterà ricordare quanti soffi sono stati fatti per avere la risposta.  Un’altra tradizione popolare narra, invece, che soffiando sul pappo si può esprimere un desiderio e che se con un sol soffio tutti i semi volano via il desiderio si avvererà a breve.

Title: Carpobrotus Edulis

Carpobrotus Edulis

Descrizione

I Carpobrotus sono un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Aizoaceae, provenienti dall'Africa meridionale. Volgarmente indicato come fico degli Ottentotti, è conosciuto in Italia anche con il nome di "unghia di strega”. È una pianta perenne che forma cespugli prostrato-ascendenti molto ramificati, fra i più grandi tra le Aizoaceae. L'abbondante fioritura produce grandi fiori gialli, viola e bianchi; i frutti sono eduli. È alta 15 - 20 centimetri, si propaga spontaneamente formando dei tappeti erbosi; coltivata si presta a decorare intere pareti rocciose. In base alla, più o meno prolungata, esposizione alla luce solare possono presentare una colorazione rossiccia in prossimità dei bordi.

Storia

In Sudafrica furono i coloni, vedendo le popolazioni del luogo (i Khoi) cibarsi dei frutti come se fossero fichi, a denominarlo "Fico degli Ottentotti" nel XV secolo. Facendo riferimento alla zona di origine è altrimenti conosciuta come fico acido o fico del Capo. In Sicilia, dove è diffuso in diverse zone della costa sud-occidentale, è anche conosciuto come varva di monacu (barba di monaco). 

Nell’antichità, il Carpobrotus Edulis veniva chiamato La Sorcière, cioè La Strega, per le sue innumerevoli proprietà terapeutiche. Le etnie dell’Africa sudoccidentale (Boscimani, Berberi e Ottentotti) lo usano da centinaia di anni come rimedio naturale per il benessere fisico, nonché come alimento dalle potenti proprietà digestive e antisettiche.

Caratteristiche

Il Carpobrotus Edulis si riproduce sia sessualmente che asessualmente. I fiori sono ad impollinazione entomocora e diversi organismi si nutrono dei suoi frutti, contribuendo così alla dispersione dei semi e alla diffusione della pianta. Data la sua elevata adattabilità e capacità di riprodursi in modo vegetativo, nei luoghi in cui viene introdotta, può facilmente diventare una pianta infestante, dannosa per le specie vegetali autoctone, con cui entra in competizione per lo spazio. Altre caratteristiche sono le corolle che si dischiudono durante le ore più assolate della giornata.  

Il liquido estratto dalle foglie è utilizzato come lenitivo per arrossature, irritazioni cutanee e scottature solari. Presente allo stato spontaneo in prossimità delle coste, è efficace come antidolorifico e disinfiammante contro le lesioni provocate dagli attacchi delle meduse e lenitivo contro le punture d'insetti; queste proprietà le sono valse il titolo di ‘’pianta di primo soccorso’’. Secondo la credenza popolare, spalmarlo sul capo dei neonati serviva a renderli forti e vigorosi.

Miti, leggende e simboli

Nel linguaggio dei fiori e delle piante, per via del suo sviluppo strisciante, simboleggia l’ozio e la pigrizia.

Title: Ruta graveolens

Ruta graveolens

Descrizione

La ruta è una pianta erbacea perenne, con fusti erbacei piuttosto ramificati alti fino a un metro. Le foglie sono tripennate, i fiori sono piccoli, poco appariscenti, di colore giallo.

Storia

La ruta veniva utilizzata dalla medicina popolare solo esternamente con l'olio essenziale per trattare dolori articolari, nevralgie e crampi, mentre l'infuso era usato per calmare gli attacchi isterici, e stimolare la digestione.

Caratteristiche

Le foglie della ruta contengono olii essenziali ricchi di sostanze importanti come flavonoidi, alcaloidi, cumarine, fenoli, aminoacidi, furanocumarine e saponine. Contiene anche una ridotta percentuale di un principio attivo, la rutina, dalle notevoli proprietà antiossidanti, in grado di prevenire l’invecchiamento cellulare e favorire il benessere di tutto l’organismo. 

Tuttavia, se assunta in quantità eccessiva, la pianta può rivelarsi tossica, soprattutto per la presenza di furanocumarine e saponine, con potenziali effetti dannosi, e addirittura letali, per l’uomo.

Miti, leggende e simboli

Dal Medioevo fino all’inizio del secolo scorso l’“erba ruta” era ritenuta l’erba che scacciava la paura. Si metteva in tasca quando si dovevano affrontare situazioni che mettevano timore, e le case nel cui spazio esterno cresceva erano ritenute privilegiate e fortunate. 

Sempre nel Medioevo si ponevano semplici corone di ruta sulle tombe per allontanare gli spiriti maligni che potevano, secondo la credenza, tormentare le anime dei defunti. Fino a metà Ottocento, la pianta si utilizzava anche nelle pratiche esorcistiche volte a scacciare la malasorte. La leggenda narra che Leonardo attribuisse le sue straordinarie capacità visive alla ruta, avendola sempre consumata in insalata.

Iconografia

In iconografia la ruta, raffigurata come una donna bella vestita in oro con gli occhi rivolti al cielo, rappresenta la bontà.

Title: Teatro Comunale

Teatro Comunale

Descrizione

Il Teatro comunale è dedicato alle opere teatrali.

All’esterno il prospetto principale si affaccia con un corpo avanzato che serviva per la sosta delle carrozze. Al piano superiore si trova invece il Foyer, caratterizzato da ampie bifore quadrangolari e destinato all’intrattenimento degli spettatori. 

L’interno è tipico della struttura del teatro all’italiana, con sala a forma di ferro di cavallo, suddivisa tra palchi, platea e loggione, fossa d’orchestra e scena più profonda, tanto che il progetto prevedeva la capienza complessiva di 1022 posti. Oggi può contenere 476 spettatori, suddivisi tra i palchi disposti su tre ordini, il loggione e i circa 200 posti in platea. Tutti i dipinti della sala centrale sono eseguiti con la tecnica della tempera su tela. Nei parapetti dei palchi, sono rappresentati putti danzanti reggi festoni in stile pompeiano, ritratti maschili e femminili dal carattere classico e decorazioni floreali. Il proscenio è decorato con le maschere del teatro classico che rappresentano la tragedia e la commedia, mentre al centro due angeli reggono un’aquila ad ali spiegate. Il soffitto della sala è decorato con una balaustra circolare che si apre verso il cielo, dove  troviamo tre grandi figure femminili che recano una corona di alloro e strumenti musicali.

Riferimenti storici

L’ultimo capolavoro messo in scena fu la Cavalleria Rusticana nel 1958; quattro anni dopo l’edificio venne chiuso definitivamente.

Oggi, dopo oltre 50 anni, il Teatro riapre il sipario tornando ad essere uno dei luoghi di maggior interesse a Siracusa. 

Iconografia

Gli strumenti musicali rappresentati nella decorazione del soffitto sono la lira e la tromba come allegoria della musica. 

Title: Opuntia ficus indica

Opuntia ficus indica

Descrizione

L’Opuntia Ficus Indica è una pianta succulenta, molto ramificata, alta fino a 5 metri, le cui “pale” ovali, oblunghe, ricoperte di spine giallastre, possono arrivare fino a 4 metri di altezza, e tra i 20 ed i 30 cm di larghezza. Questa pianta presenta grandi fiori gialli, ai quali seguono i frutti ovoidali dai colori che vanno dal giallo al rosso, ricoperti da sottili spine. 

Storia

La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo (che credeva di aver gettato l’ancora nelle Indie). La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua “Historia general y natural de las Indias”. Linneo, nel suo Species Plantarum (1753), descrisse due differenti specie: Cactus opuntia e C. ficus-indica. Fu Miller, nel 1768, a definire la specie Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata.

Caratteristiche 

La sua particolarità sono le così dette “pale”, che immagazzinano l’acqua e lo rendono adattabile anche a condizioni di estrema siccità. I frutti, usati più comunemente come alimento, hanno funzioni depurative a livello epatico. Viene anche usato come rimedio per le scottature per le sue proprietà antiossidanti. 

Miti, leggende e simboli 

Gli antichi Aztechi lo chiamavano “nopalli” e lo consideravano come il loro simbolo. 

Secondo la tradizione, gli Aztechi edificarono la splendida capitale del loro regno “tenochtitla” - il cui nome significava ‘’il luogo dove abbandono i frutti del cactus nopalli che si erge sulla grande pietra” – nel punto in cui cresceva un cactus sul quale avevano visto appollaiarsi un’aquila, su un isolotto deserto di un lago della zona della valle del Messico. 

Oggi il fico d’india appare nello stemma della Repubblica Messicana.

Title: Chiesa di S. Filippo Neri

Chiesa di S. Filippo Neri

Descrizione

È una delle chiese più importanti di Ortigia. 

Il portale principale di forma rettangolare possiede, ai suoi vertici, due mascheroni grotteschi, da cui partono due sirene, da cui è scolpita una piccola figura simile ad una lucertola, che rappresenterebbe la firma dell’architetto. L’interno della Chiesa presenta un’unica navata con decorazioni corinzie e stucchi di tonalità chiara. La facciata  presenta colonne in stile ionico con decorazioni geometriche ed è composta da due ordini architettonici: nel primo i tre ingressi sono sovrastati da timpani, con a fianco semicolonne con capitelli; Il secondo è delimitato da una cornice gettante e tre grandi finestre, che ripetono simmetricamente le aperture inferiori e conferiscono linearità ed eleganza all'insieme. Sulla pavimentazione c'è raffigurato un enigmatico disegno astratto che formerebbe una “Croce”, dove al centro vi è la botola dell’ossario in cui venivano sepolti i parrocchiani di allora. 

L'Abside è caratterizzata da un duplice arco di trionfo, sormontato al centro da uno scudo sostenuto da due putti, probabile emblema nobiliare della famiglia De Grande.

Riferimenti storici

Nel 1741, il vescovo di Siracusa monsignore Testa, oltre a cambiare l'oratorio di San Filippo Neri in Collegio di S. Carlo, mantenne l'antico nome. La fondazione della chiesa si deve alla nobildonna Margherita De Grandi, che donò i suoi averi per la realizzazione. Dopo la legge di soppressione del 1866, la chiesa restò aperta al culto e assegnata al Municipio che la concesse, il 1 aprile 1874, ai Confrati dei Bianchi pace e carità.

Iconografia

Accanto al portale principale, due tele raffigurano il martirio di Santa Lucia e quello di Sant’Agata; nel transetto destro è collocato il dipinto ottocentesco “Gesù nell’Orto degli ulivi”, del pittore napoletano Giuseppe Mancineli, mentre in quello sinistro si trovano un crocifisso ligneo settecentesco e nicchie di piccole reliquie, soprattutto parti di organi e scampoli di tessuti.

Title: Nigella damascena

Nigella damascena

Descrizione

È una pianta erbacea annuale, con una sottile radice e il fusto completamente glabro alto fino a 40 centimetri talvolta ramificato verso l’alto. I fiori di colore bianco, solitari all'apice del fusto o dei rami, sono circondati da un involucro di cinque foglie più lunghe.

Storia

Il nome della pianta deriva dal latino “nigella”, diminutivo di “nigra”, per il colore nero dei semi, mentre “damascena” deriva dalla città di Damasco che ne indica la provenienza. 

Pianta citata nella Bibbia e conosciuta dagli antichi Romani, fa parte della medicina tradizionale coranica; in Europa venne utilizzata a scopo medicinale fino al XVII secolo.

Caratteristiche

I semi di Nigella contengono saponine e alcaloidi tipo damascenina che sono sì responsabili di una certa azione medicamentosa, ma anche pericolosi se ingeriti in dose eccessiva. 

Ha dei semi aromatici dal vago profumo di fragola, che in passato si usavano per aromatizzare alcuni liquori.

Title: Palazzo Beneventano del Bosco

Palazzo Beneventano del Bosco

Descrizione

All'ingresso del palazzo vi è un atrio composto da una volta con stucchi e da qui si aprono altri due portali che giungono all’interno del palazzo. 

Proseguendo dritti, ci si trova di fronte ad un cancello in ferro battuto, recante nella sua cima lo stemma nobiliare dei Beneventano. La pavimentazione del cortile è composto da un elaborato acciottolato bianco e nero, che disegna per terra un fantasioso tappeto di pietra. 

Nel balcone centrale vi è un monolite con le armi gentilizie dei Beneventano e l'epigrafe che ricorda la visita del Re di Borbone. La sua facciata si divide in tre ordini i cui lati sono delimitati da pilastri a gradoni. Le sei aperture laterali sono sormontate da timpani di forma semicircolare. La trabeazione, in stile merlato, cinge la parte superiore della facciata e presenta al centro un lavorato timpano triangolare. 

All’interno, le stanze sono riccamente decorate da affreschi policromi, stucchi e da cristalli, che provengono da Malta e Venezia. È presente anche la collezione di stampe antiche, raffiguranti mappe della città, della Sicilia e dell’Italia, e la lapide in onore della visita al palazzo di re Ferdinando. 

Il terzo piano del palazzo è composto da formelle poligonali che delimitano tutti i balconi, che sono sormontate da frontoni fregiati, con elaborate figure floreali scolpite in bassorilievo. Infine il frontone centrale corona la facciata del palazzo.

Riferimenti storici

Prima di essere acquistato dalla famiglia nobiliare Beneventano del Bosco, questo palazzo era un sito quattrocentesco, fatto costruire dagli Arezzo, e aveva ospitato, tra le sue mura, importanti organi giuridici e amministrativi come la Camera Regionale di Siracusa, il Senato della città e la Commenda dei Cavalieri del Santo Sepolcro. 

Il palazzo fu distrutto dal violento terremoto del 1693. 

I Beneventano furono un'antica casata nobiliare di Siracusa, Modica e Lentini. Essi possederono numerosi feudi e nelle citate città occuparono sempre posizioni di primo piano. Si chiamarono Beneventano "del Bosco" perché avevano un vasto feudo tra Siracusa e Floridia. 

Il re Ferdinando III di Borbone venne a Siracusa nel 1806, dove alloggiò durante la sua permanenza al palazzo. 

Vi soggiornò anche l'ammiraglio britannico Horatio Nelson, quando approdò con la sua flotta a Siracusa. 

Nel 1778 l’immobile fu acquistato dal barone Guglielmo Beneventano.

Title: Ipomoea indica

Ipomoea indica

Descrizione

L’Ipomoea indica è una pianta rampicante annuale o perenne, formata da un fusto principale da dove si propagano altri fusti più leggeri che producono altri rami. Le foglie sono grandi, tribolate e di un verde acceso; i fiori molto abbondanti, di colore blu, azzurro o porpora con varie sfumature. 

Storia

Il nome scientifico Ipomoea deriva dal greco, da ips (verme della vite, viticcio) e omoios (simile), a indicare la tendenza di queste piante ad arrampicarsi e ad agganciarsi ai sostegni per mezzo dei viticci.

Caratteristiche

Il genere Ipomoea comprende diverse specie, tra cui quelle più comunemente chiamate “campanelle”. 

La particolarità di questa pianta sono i fiori, che si aprono al mattino, ma si richiudono presto col pieno sole; col tempo coperto restano invece aperti per parecchie ore. I tuberi di alcune specie vengono usati come alimenti.

Title: Chiesa di San Filippo apostolo

Chiesa di San Filippo apostolo

Descrizione

La chiesa è a croce greca e lo sviluppo piramidale nel frontone, deve la sua particolarità alla posizione centrale della cupola. 

La facciata è impostata su due ordini, di cui quello inferiore delimitato da paraste corinzie, dove il modulo centrale ha lo spazioso portale timpanato al primo ed una finestra affiancata da lesene nel secondo. Lo spazio interno, caratterizzato da una decorazione settecentesca, è a tre navate divise da pilastri poligonali e affiancati da colonne che reggono archi a tutto sesto, adornate da stucchi settecenteschi. 

Sull’altare maggiore vi è un dipinto del XVI secolo che ha per oggetto la Lavanda dei piedi.  

Sotto la chiesa vi è anche una cripta, dove furono sepolti i membri dell’Arciconfraternita di San Filippo Apostolo e contiene degli affreschi raffiguranti il tema della morte, le quattordici stazioni della Via Crucis e sulla maggiore è raffigurata la Deposizione di Cristo nel sepolcro. Sotto la cripta si trovano i rifugi antiaereo e ancor più sotto si trova un antico bagno di purificazione rituale ebraico.  

Riferimenti storici

Venne costruita nel luogo in cui sorgeva la quattrocentesca Sinagoga ebraica di Siracusa. La sua costruzione fu finanziata dalla Confraternita di San Filippo, che trasformò il “Mikveh” della preesistente Sinagoga in cripta sepolcrale per i confratelli defunti, raggiungibile da un’apertura posta in prossimità dell’ingresso della chiesa. 

Nel 1867 a San Filippo venne ospitato il priore di Sant’Agostino, il quale volle innalzare un altare provvisorio che potesse accogliere la statua dell’Addolorata che si venerava nella sua chiesa. Dopo il terremoto del 1693 si evidenziarono lievi danni che furono usati come motivazione ad effettuare un radicale rinnovo della chiesa. 

Con la ricostruzione furono sistemati i locali sotterranei che divennero ossario. Attualmente la Chiesa è stata riaperta al culto nel 2010 e dal 2014 è sede della Parrocchia di San Giovanni Battista, dove svolge quotidianamente funzioni parrocchiali.

Iconografia

Internamente è possibile ammirarvi l’Altare Maggiore in marmo e le statue di Santa Maria Addolorata, di Santa Maria Assunta e di San Francesco di Paola, nonché l’urna del Cristo Morto.

Title: Eryngium maritimum

Eryngium maritimum

Descrizione

Conosciuta anche con i nomi di Calcatreppola marittima o Cardo stellato marittimo, è una pianta erbacea perenne diffusa sulle coste sabbiose del Mediterraneo. Coriacea e spinosa, con un fusto alto dai 15 ai 50 cm striato, eretto, robusto, legnoso e midolloso all'interno, ha foglie coriacee e spinose. I fiori sono piccoli, ermafroditi, molto profumati, e di colore ametistino.  

Storia

In Gran Bretagna, anticamente le radici di questa pianta venivano candite e vendute come dolci. 

Si pensava che fossero afrodisiache, soprattutto per gli anziani: per questo motivo vengono citate da Falstaff nelle “Allegre comari di Windsor” di Shakespeare.

Caratteristiche

È una specie pioniera delle dune, che grazie al suo esteso apparato radicale riesce a bloccare il movimento della sabbia, stabilizzandola, facilitando così lo sviluppo della vegetazione colonizzatrice.

Il nome generico ha etimologia incerta: potrebbe derivare dal greco eryngion (riccio) o eryma (difesa), in entrambi i casi alludendo alla forte spinosità; il nome specifico si riferisce all'habitat litoraneo.

Title: Palazzo Bongiovanni

Palazzo Bongiovanni

Descrizione

La facciata del palazzo possiede un elegante portale arcuato, al cui centro reca un mascherone barocco dalle sembianze mostruose, accanto al quale vi sono finestrelle quadrangolari racchiuse da inferriate in ferro battuto. Il balcone centrale del palazzo, convesso verso l'esterno, è sostenuto da mensoloni a protomi umani, arricchito ai lati da contrafforti a spirale ed obelischi in altorilievo. Esso è racchiuso da un’inferriata bombata, sormontati da timpani circolari di tipo spezzato arricchiti da bassorilievi che raffigurano ghirlande floreali. Quest'ultima decorazione è presente negli altri tre balconi, che occupano la parte sinistra del palazzo, sopra i quali vi è una serie di finestre, lucernari di forma rettangolare. 

Il portone è sovrastato da una maschera, sopra la quale si trova la figura di un leone che regge un cartiglio, ovvero una raffigurazione dipinta o scolpita con un’iscrizione ornamentale, e che funge da sostegno centrale di un balcone sagomato. 

La finestra centrale è segnata da volute.

Riferimenti storici

Il cognome Bongiovanni risale al 1492, cioè all'anno in cui molti ebrei si convertirono al cristianesimo, tanto che venivano chiamati con il nome del Battista e venivano battezzati con il nome Giovanni. Orazio Bongiovanni era barone romano e marchese di Poggio Manente, ma il suo titolo fu trasferito il 24 marzo 1700 a Marco Antonio Florenzi, con il permesso di Innocenzo XII.

Title: Epilobium dodonaei Vill.

Epilobium dodonaei Vill.

Descrizione

Detta anche garofanino di fiume, è una pianta erbacea perenne con fusto cilindrico, eretto, ramoso, densamente foglioso, alta fino a un metro e mezzo. Ha foglie alterne, lineari, intere o leggermente dentellate, lunghe 4 cm. 

I suoi fiori, di colore rosato o violaceo, sono disposti, in numero di 5-10, in rametti lunghi ed eretti, mischiati alle foglie, all’apice del fusto.

Storia

Il nome generico deriva dal greco epí, sopra e lobós, lobo, col significato di “sopra ai lobi”, con riferimento alla posizione dei petali inseriti sopra l’ovario. Il nome specifico è dedicato al botanico olandese R. Dodoens (1517-1585), professore di botanica a Leiden, autore di un'importante flora illustrata.

Title: Palazzo delle Poste

Palazzo delle Poste

Descrizione

L’edificio è a corte interna, formato in pianta da due anelli concentrici, di cui quello esterno era accessibile al pubblico mentre quello interno era occupato dagli uffici che si aprivano sulla corte. 

L'esterno, rivestito in pietra calcarea locale, esprime un'aura di monumentalità enfatizzata dalle due torri angolari, dove sono contenuti gli ingressi. 

L'interno è reso nobile dall'uso degli ordini architettonici negli ambienti di collegamento, ossia atri e corridoi, mantenendo uno stile classico nelle decorazioni.

Caratteristiche sono le due torri angolari, che si trovano agli ingressi.

Riferimenti storici

Fu il re Vittorio Emanuele III a posare la prima pietra.

Il suolo dove sorse il palazzo delle Poste venne donato dal Comune di Siracusa con atto in data 19 ottobre 1922.

Oggi è diventato Ortea Palace Luxury Hotel con 75 camere che non hanno modificato l’eleganza e lo stile dello storico Palazzo delle Poste.

Title: Echium plantagineum

Echium plantagineum

Descrizione

Pianta erbacea annuale/biennale, alta 20-60 cm, di forma molto variabile; fusti eretti, ramificati, con getti laterali prostrato-ascendenti, ricoperti di peli brevi e setole molli o ispido-tubercolate, erette o appressate.

Storia

Il nome generico deriva dal greco 'echis' (biscia), per la forma delle infiorescenze ricurve simili a una testa di serpente.

Caratteristiche 

Per l'elevata concentrazione di alcaloidi pirrolizidinici presenti nei germogli, è velenosa per gli animali da pascolo, in particolare per quelli dotati di un tratto digestivo semplice come i cavalli. 

Le sue tossine, accumulandosi nel fegato possono condurre gli animali alla morte.

Le proprietà dell’erba viperina sono legate alle sue foglie. La medicina popolare ha insegnato a usarla soprattutto per via delle sue proprietà calmanti ed emollienti.

Title: Palazzo Impellizzeri

Palazzo Impellizzeri

Descrizione

Il prospetto presenta una trabeazione decorata con motivi floreali e sul cornicione volti umani. Sulla pavimentazione policroma interna, si trovano gli stemmi dei casati e la lettera "G” che indica l'appartenenza ai Loggia. 

Presenta una facciata in cui si susseguono finestre e balconi dalle linee sinuose. 

La pietra da taglio ricopre le parti più importanti della facciata. L’ampio portale da accesso al piano nobile tramite una scalinata e all’ingresso sono murate due lapidi. 

Dispone internamente di oltre sessanta vani distribuiti sui tre ordini e ristrutturati nel tempo. Nella prima stanza del quarto nobile è riportata al centro del soffitto lo stemma della Famiglia: un pesce d’argento che nuota in un mare agitato, d’azzurro e d’argento. Attualmente il Palazzo è sede della Sezione d’Archivio di Stato di Noto e un'ala dello stesso è abitata dalla famiglia. 

Riferimenti storici

Originari dei regni di Castiglia e di Valenza, gli Impellizzeri furono cavalieri a servizio di Re Martino nel XIV secolo. 

Title: Daucus carota

Daucus carota

Descrizione

Pianta erbacea biennale con radice carnosa e ingrossata con odore di carota. 

I fiori, bianchi o rosei, sono raccolti in ombrelle con 20-40 raggi; quello centrale (leggermente più grande) di ogni ombrella è sterile, di colore spesso porporino scuro.

Storia

La pianta è conosciuta e coltivata sin dall’epoca classica, la si trova già negli scritti di Ippocrate, sebbene se ne appiano scarse informazioni riguardo al suo uso. 

Il centro del fiore, di colore rosa scuro/violaceo, viene usato dai miniaturisti come colore. 

La progenie della carota selvatica è quella che ora si coltiva in tutto il territorio italiano e i fittoni hanno un buon profumo di carota. 

Durante il regno di Giacomo I, in Inghilterra, le dame si adornavano i capelli con ghirlande fatte di fiori di Daucus carota. Gli antichi greci chiamavano anche la carota col termine di "Stafilinos", che indicava la gola, o meglio le infezioni orofaringee.

Caratteristiche

Dai suoi frutti si ricava un olio aromatico che viene usato per la produzione di liquori. 

L’olio estratto dai semi è inoltre utilizzato nella fabbricazione di liquori.

Miti, leggende e simboli

Si riteneva che un fiore di carota, raccolto nelle notti di luna piena, servisse a curare l’epilessia, oppure che aiutasse il concepimento: per favorirlo era necessario bere un bicchiere di vino, nel quale fossero stati bolliti i fiori della pianta.

Title: Palazzo Mergulese Montalto

Palazzo Mergulese Montalto

Descrizione

È caratterizzato da un prospetto medievale, con pietre scure ben intagliate. 

Sul prospetto si aprono una trifora, una bifora e una semplice monofora. 

Gli archivolti della trifora sono decorati con motivi floreali, mentre la bifora offre un intaglio a spina di pesce, che sostengono due eleganti colonnine tortili con capitelli a grappa. 

Nel primo ordine vi è un portale chiaramontano, sovrastato da un'edicola contenente la lastra marmorea, che ne afferma la data di edificazione, e i due ordini sono divisi da un cornicione marcapiano a dente di sega. 

L'interno presenta un atrio con scala scoperta e un porticato con loggiato.

Riferimenti storici

Il palazzo fu costruito per volontà della nobile Macciotta Mergulese nell’anno 1397 e fu successivamente donato dalla regina Costanza d’Aragona alla famiglia Montalto nel XV secolo. Nel 1837, invece, fu arrangiato a lazzaretto in seguito al colera e accolse poi la comunità religiosa delle Figlie della Carità.

Title: Convolvulus althaeoides

Convolvulus althaeoides

Descrizione

Il Convolvulus althaeoides, volgarmente noto come vilucchio rosso, è una pianta erbacea rustica, perenne, alta da 5 a 8 cm e dal portamento semi-rampicante o prostrato. Le foglie, delicate, di colore verde argentato, sono picciolate e con la lamina variamente conformata. La corolla dei fiori, a forma di imbuto e lunga 4 volto il calice, è di un bel colore rosa- lilla più intenso al centro.

Storia

Il nome del genere deriva dal latino convolvere, “avvolgere”, per via dei fusti avvolgenti. Il nome della specie althaeoides deriva dal greco “αλθαίνομαι” “guarire, risanare”.

Caratteristiche

Il Vilucchio rosso possiede qualche proprietà officinale. Le foglie e le radici contengono amido, gomme, resine, zuccheri, sali, saponine dotati di effetti lassativi. Nella medicina popolare, gli estratti della pianta, erano usati per curare le febbri di origine epato-biliare, nell’idropsia epatica, nell’inerzia intestinale causata da insufficienza epatica.

Miti, leggende e simboli

Una leggenda greca narra che il giovane Krocus, perdutamente innamorato, ma non corrisposto dalla ninfa Smilace, venne tramutato in convolvolo rosso come punizione; secondo altre versioni anche la ninfa si innamorò e gli dei li fecero diventare entrambi Convolvoli che vissero amandosi intrecciati fra loro.